o zolfo accompagna la pratica dell’apicoltura da almeno due secoli, tanto che i manuali ottocenteschi lo menzionano come rimedio d’elezione per sanificare il materiale di legno e per proteggere i favi dall’attacco dei parassiti di magazzino. Oggi i protocolli di biosicurezza si sono affinati, ma la combustione controllata di zolfo elementare rimane, per molti operatori, uno strumento insostituibile quando si devono disinfettare arnie vuote, neutralizzare spore di patogeni resistenti o prevenire l’insediamento delle tarme della cera (Galleria mellonella e Achroia grisella) nei melari invernati. Comprendere come, quando e perché impiegarlo significa coniugare l’esperienza tradizionale con i requisiti di sicurezza chimica che la normativa europea e nazionale impone all’apicoltore moderno.
Indice
Principio di azione e campo di impiego
Lo zolfo brucia producendo anidride solforosa (SO₂), un gas tossico per insetti, funghi e batteri, capace di saturare in poche ore il volume interno di un’arnia disabitata o di un locale di stoccaggio. A concentrazioni idonee la SO₂ ossida enzimi respiratori e proteine cellulari, determinando la morte dei parassiti e l’inattivazione di molte spore, in particolare quelle di Ascosphaera apis (agente della peste calcificata) e di Paenibacillus larvae (peste americana). Di conseguenza l’impiego principale riguarda il trattamento di:
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arnie vuote o essiccatoi di melari prima di un nuovo utilizzo;
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favi destinati a svernare privi di colonie;
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locali di laboratorio dove si estraggono o si immagazzinano i melari;
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telaini di recupero provenienti da famiglie colpite da patologie conclamate (peste europea, Nosema, virus cronici).
È fondamentale chiarire che la fumigazione con zolfo non va eseguita su colonie vive: la tossicità della SO₂ ucciderebbe le api adulte e la covata nell’arco di minuti. Per il contenimento di varroa o di altri parassiti interni all’alveare esistono principi attivi diversi, autorizzati nel quadro dei medicinali veterinari.
Preparazione del materiale e dosaggio
La letteratura tecnica suggerisce un intervallo di 80–120 g di zolfo fior di zolfo (polvere finissima) per metro cubo di volume da trattare. Con arnie cuboidi da 40 litri è sufficiente quindi un cucchiaio da cucina colmo (8‑10 g), mentre per una camera calda di 10 m³ si superano i 900 g di prodotto. Il calcolo dev’essere accurato: dosi eccessive aumentano il rischio di corrosione dell’attrezzatura metallica e lasciano odori di difficile dispersione, mentre dosi sottostimate compromettono l’efficacia biocida.
Prima di procedere si rimuovono i residui organici grossolani – propoli, scaglie di cera, covata morta – perché lo zolfo agisce per contatto gassoso, non per azione detergente. Le superfici devono essere asciutte: l’umidità, reagendo con l’anidride solforosa, forma acido solforoso che corrode rapidamente il legno e, soprattutto, l’attrezzatura in acciaio galvanizzato. Se si trattano superfici particolarmente impregnate di miele o polline, conviene un lavaggio preliminare con acqua calda e soda caustica allo 0,5 %, seguito da completo risciacquo e asciugatura.
Tecnica di combustione
Nell’apicoltura amatoriale la modalità più diffusa prevede lo zolfo disposto in un bruciatore metallico (piattino o pentolino non infiammabile) posto sul fondo dell’arnia vuota. Si accende con una striscia di carta impregnata di alcol, quindi si chiude il coperchio e si sigillano fessure e varchi con nastro telato o con listelli di legno e argilla. Nei laboratori professionali si usano resistenze elettriche o fornelletti autoregolati che mantengono il punto di fusione dello zolfo a 120 °C favorendo una combustione completa e limitando la produzione di particolato. Il locale deve essere privo di fiamme libere esterne e con aerazione chiusa; la presenza di estintori Co₂ e di maschere ABEK è obbligatoria secondo il D.Lgs. 81/08.
La combustione dura in media 30‑60 minuti, ma il tempo di esposizione consigliato è 24 ore, periodo necessario a garantire la penetrazione della SO₂ nei fori larvali delle tarme e nei nodi del legno. Terminata la fumigazione si aerano i contenitori per almeno mezza giornata, preferibilmente al sole, in modo da disperdere residui gassosi. Il caratteristico odore pungente di zolfo non deve più avvertirsi prima di rimettere le api a contatto con le arnie trattate.
Aspetti normativi e responsabilità
Sul piano regolatorio lo zolfo elementare non richiede autorizzazione veterinaria perché non è classificato come medicinale; rientra tuttavia nella categoria dei biocidi ad azione insetticida e fungicida. Il regolamento (UE) 528/2012 impone che il prodotto sia acquistato con etichette conformi e scheda di sicurezza aggiornata. L’apicoltore, in quanto utilizzatore professionale, deve conservare le fatture di acquisto e annotare sul registro aziendale delle sostanze pericolose la data e la quantità impiegate. In caso di ispezione veterinaria o fitosanitaria questi dati possono essere richiesti per verificare che i materiali dismessi non finiscano in discariche senza corretta decontaminazione.
Particolare attenzione meritano i melari destinati a miele da agricoltura biologica: il disciplinare europeo Bio (Reg. UE 848/2020) consente la fumigazione con zolfo perché classificata come trattamento fisico, ma impone che i residui siano eliminati completamente. Il produttore deve poter dimostrare, mediante schede di autocontrollo HACCP, che l’aria passa attraverso almeno due cicli completi di aerazione prima del riutilizzo.
Alternative e integrazioni
Negli ultimi anni alcuni apicoltori sostituiscono o integrano la fumigazione con congelamento a –20 °C dei telaini, efficace contro la tarma se protratto per 48 ore. Altri usano atmosfera controllata con anidride carbonica, ma i costi di bombole e camere sigillate restano elevati. Per la disinfezione da peste americana, il Ministero della Salute raccomanda ancora la distruzione o la sterilizzazione a fiamma viva; lo zolfo può ridurre la carica sporale ma non la eradica al 100 %. Pertanto in caso di focolaio conclamato la fumigazione è solo un passaggio complementare.
Buone pratiche per l’utilizzo responsabile
L’efficacia dello zolfo dipende dalla costanza di temperatura: in inverno conviene riscaldare leggermente il locale (15‑18 °C) per evitare condensa acida. È sconsigliato riutilizzare il bruciatore ad altri scopi alimentari: i residui formano solfati che contaminano cera o miele. Dopo la terza o quarta fumigazione, il legno delle arnie diventa fragilmente secco; è buona norma passare una mano di propoli diluita o di olio di lino cotto per ripristinare l’elasticità.
Un ultimo aspetto riguarda la gestione dello zolfo avanzato: si conserva in barattoli a chiusura ermetica, lontano da fertilizzanti nitrati e da fonti di calore. La polvere vecchia, imbrunita o umida, perde omogeneità di combustione e va conferita come rifiuto pericoloso CER 06 13 04* presso il centro di raccolta comunale.
Conclusioni
L’utilizzo dello zolfo in apicoltura, se eseguito con competenza, rimane uno dei metodi più rapidi ed economici per sanificare arnie vuote e proteggere i favi dall’assalto dei parassiti di magazzino. La sua efficacia è comprovata contro tarme della cera e numerosi agenti microbici, mentre la semplicità di attuazione lo rende adatto anche a piccoli allevatori che non dispongono di camere di congelamento industriali. È indispensabile, tuttavia, conoscere i limiti dell’applicazione: non è un presidio per la varroa, non sostituisce le procedure di distruzione previste per malattie infettive gravi e richiede rigide cautele di sicurezza chimica. Integrare la fumigazione con buone prassi igieniche, rotazione dei favi e attenta gestione delle scorte rappresenta la strategia più equilibrata per garantire ambienti di nidificazione salubri e per ridurre, a valle, i rischi di contaminazione del miele destinato al consumatore.